Le parole sono importanti: modi di dire spagnoli (seconda parte)

le parole sono importanti lourdes miranda traduttrice

Le parole sono importanti.


Questo è da sempre il mio pensiero sia come persona che, soprattutto, come traduttrice, 
Ecco la seconda parte della mia rubrica che si intitola proprio così. “Le parole sono importanti”. La trovi aggiornata ogni venerdì sulla mia pagina Facebook, su Instagram e su Linkedin. Questo articolo è costantemente aggiornato con le origini dei modi di dire spagnoli, di cui parlo di volta in volta.

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A RÍO REVUELTO, GANANCIA DE PESCADORES
Questa frase, che letteralmente significa che quando il fiume è agitato c’è guadagno per i pescatori, indica quelle persone che approfittano di situazioni di caos o disordine a loro vantaggio.
In realtà, questo detto spagnolo si base in una situazione reale. Infatti, quando le acque dei fiumi sono mosse, è molto più semplice pescare una gran quantità di pesci. Può avere sia una connotazione negativa che positiva. Dal punto di vista negativo si riferisce a quelle persone che in mezzo al caos colgono l’occasione per aumentare i loro profitti, mentre dal punto di vista positivo significa che a volte anche le situazioni peggiori ci possono offrire un vantaggio.

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DAR CALABAZAS
L’espressione che vedremo oggi significa, letteralmente “dare zucche” e si usa quando non si passa un esame e, soprattutto, se si viene rifiutati da un’altra persona in termini amorosi.
Faremo un lungo viaggio, dalla Grecia antica, dove la zucca era considerata un antiafrodisiaco e usato per allontanare dalle tentazioni amorose. Poi arriveremo ai monasteri medievali in cui si usavano i semi di zucca nei rosari perché si diceva aiutassero ad allontanare pensieri peccaminosi. Senza dimenticare il suo uso nelle antiche zone rurali della Catalogna, dove al pretendente delle fanciulle veniva offerto fuoco per il tabacco se era ben accetto dalla famiglia, o un piatto a base di zucca se doveva proprio sparire e non tornare mai più.
Così arriviamo ai giorni d’oggi dove si usa “dar calabazas” con una connotazione negativa, che indica rifiuto.
METER O SEMBRAR CIZAÑA
Quest’espressione, che letteralmente significa mettere o seminare zizzania, si usa per indicare quando qualcuno interviene in una discussione/conversazione con l’obbiettivo di creare un malinteso o peggiorare la situazione.
Le sue origini le troviamo nel mondo vegetale. La zizzania è una pianta spontanea molto simile al grano e che spesso può essere scambiata con quest’ultimo. Il problema principale è che i frutti di questa pianta e la farina che si ottiene da questi sono velenosi, quindi il suo consumo è totalmente sconsigliato.
Questa frase cominciò a usarsi nel IV secolo quando alcuni evangelizzatori si avvalevano del paragone fra il grano e la zizzania per indicare la differenza fra bene e male, fra virtù e peccato, basandosi su una parabola biblica in cui si racconta la differenza fra queste due piante e i suoi effetti nelle persone.
Così la zizzania è arrivata fino ai giorni nostri per indicare tutte le quelle persone che al posto di aiutare a risolvere un problema, discussione, situazione, cercano solo di scaldare gli animi e creare ancora più malintesi.
METERSE EN UN BERENJENAL
Per spiegare questa espressione ci cacceremo in un “campo di melanzane”, che è il significato letterale di questa frase.
Le sue origini le troviamo nella campagna. Le piante di melanzane, quando crescono, sono molto intrecciate e piene di spine, quindi i campi di melanzane sono dei posti veramente poco ospitali. Così quando qualcuno si caccia in una situazione della quale farà veramente fatica ad uscire illeso, si dice che “se ha metido en un berenjenal”. Considerate che gli agricoltori per raccogliere le melanzane usano dei vestiti e attrezzi speciali per riuscire a farsi meno male possibile.
Non si sa, di preciso, quando sia diventata una frase fatta, ma tuttora è di uso comune insieme a “METERSE EN UN JARDÍN”, ovvero “entrare in un giardino”, data la forma labirintica che una volta avevano, che può essere usata più o meno con lo stesso significato. Certo, se devo scegliere preferisco andare in un giardino: qualche rosa la troveremo, ma i gigli ci salveranno.
modi di dire in spagnolo darsela con queso
DÁRSELA CON QUESO
Questa frase si usa per indicare quando si attira una persona usando un’esca o la si spinge a fare qualcosa con l’inganno. Letteralmente significa (DARE QUALCOSA COL FORMAGGIO).
Le sue origini le troviamo nella Mancia del medioevo, sì, proprio nella terra di Don Chisciotte. Si dice che all’epoca gli osti andassero al mercato a prendere le botti di vino.
Siccome i clienti prima di pagare volevano verificare che la merce fosse di qualità, i proprietari del vino, per riuscire a vendere anche le botti di vino andate a male offrivano ai clienti inesperti un formaggio della zona dal sapore molto forte. In questo modo i clienti non riuscivano a individuare la fregatura, perché il sapore copriva poi il vero gusto del vino.
E così, ancora oggi, quando qualcuno è stato ingannato in qualche modo e spinto a fare qualcosa con l’imbroglio, si dice che “SE LA HAN DADO CON QUESO” (GLIEL’HANNO DATO COL FORMAGGIO).
METERSE EN CAMISA DE ONCE VARAS
Quest’espressione si usa per indicare quando ci stiamo complicando la vita inutilmente con una situazione che magari potevamo evitare, cioè cacciarsi in guai molto più grandi di noi.
Le sue origini le troviamo nel Medioevo, quando si realizzavano cerimonie di adozione di bambini. Per queste occasioni si cucivano camicie di dimensioni ampie, e il padre adottivo doveva infilare il bambino per una manica e farlo uscire dall’altra, o dal collo della camicia e dargli un bacio in fronte come gesto di accettazione.
La traduzione letterale sarebbe camicia di 11 varas (antica unità di misura spagnola), all’incirca una camicia di 9 metri. L’idea quindi è che ti stai immischiando in un problema molto più grande di te, dal quale poi farai fatica ad uscire e che potresti evitare.
DAR LA LATA
Questo è uno dei modi di dire spagnoli che viene usato quando qualcuno chiede delle cose in modo abbastanza insistente e fastidioso o quando parla in continuazione di argomenti alquanto inopportuni.
Come nel caso di “tirar la toalla” che abbiamo già visto, anche per questo modo di dire ci sono diverse possibili origini, io però comincerò per quella che sembra essere la più plausibile.
Si dice che nel XVII secolo i vecchi soldati andassero negli uffici a chiedere di ricevere dei compensi per le loro ferite di guerra o le loro conquiste in battaglia e portassero sempre con sé il certificato di guerra dentro un contenitore di latta. Siccome erano alquanto insistenti, si diceva sempre che “davano la latta” cioè davano fastidio con le loro richieste.
Ci sono però altre due versioni. Una sostiene che si fa riferimento ai suoni che si facevano per festeggiare le seconde nozze dei vedovi, dato che in quell’occasione si suonavano latte, lattine e qualunque strumento di banda stagnata. L’altra invece racconta che nelle carceri di Málaga i prigionieri bevevano delle bevande a base di mosto di vino con le quali, ovviamente, si ubriacavano, e così parlavano e facevano tanto chiasso!
Al di là delle origini, ancora oggi si dice “dar la lata” per indicare qualcuno che con le sue richieste fastidiose ci sta disturbando.
DEJAR A ALGUIEN EN LA ESTACADA
Quest’espressione si usa quando si abbandona qualcuno in balia della propria sorte in un momento di difficoltà o in una situazione pericolosa.
“Estacada” era la recinzione fatta con pali di legno che circondava le aree dove i cavalieri, nel Medioevo, si dilettavano nel duellare. Chi perdeva in queste competizioni rimaneva sul campo di battaglia ferito.
Così, ancora oggi, quando si abbandona qualcuno alla propria sorte si dice che “se ha dejado en la estacada”. Quindi, come i cavalieri di una volta, è stato lasciato nella recinzione del campo di battaglia, ferito e senza aiuto.
ESTAR A DOS VELAS
Letteralmente significa rimanere a due candele, e indica quando una persona rimane senza o con pochissime risorse economiche. E più di recente si usa anche per indicare la mancanza di rapporti sentimentali.
Ci sono diverse teorie sulle sue origini, vediamone alcune insieme. Si dice che l’espressione provenga dal momento in cui, dopo la messa, le chiese rimanevano illuminate solo da due candele nell’altare maggiore. Oppure che faccia riferimento alle candele che illuminavano chi faceva da banca nelle partite di carte clandestine. Quando un giocatore aveva fortuna e prendeva tutti i soldi, la banca rimaneva solo con le due candele utilizzate come illuminazione. Altri invece dicono che si riferisca ai funerali di persone meno abbienti che potevano permettersi solo due candele nella camera ardente. E, per ultimo, siccome in spagnolo il termine candela (vela) corrisponde al termine vela riferito alle barche, si dice che possa far riferimento a quelle barche più modeste che viaggiavano spinte solo da due vele.
Ma una cosa è chiara, se sei senza soldi, “estás a dos velas”.
COSER Y CANTAR
Oggi parliamo di una delle frasi fatte più diffuse della lingua spagnola. La sua traduzione letterale sarebbe “cucire e cantare” e si utilizza per indicare quando un compito è molto semplice da fare.
Si dice che provenga dai tempi in cui le donne si incontravano nei salotti delle case per cucire tutte insieme. Mentre erano intente nel loro compito, e per dare un po’ di armonia a quei momenti, cantavano tutte insieme, abbinando canzone e cucito. A volte si trattava di canzoni popolari e a volte canzoni create addirittura da loro stesse.
Ancora oggi si usa anche l’espressione “Coser y cantar todo es empezar” (cucire e cantare, tutto è cominciare), un altro vecchio proverbio che vuole far capire che nella vita niente è così difficile, ma l’importante è cominciare.
SER HARINA DE OTRO COSTAL
Quest’espressione, che letteralmente significa “farina di un altro sacco”, si usa per far riferimento a qualcuno che è diverso dagli altri. Si usa spesso anche per indicare la natura diversa delle cose o degli argomenti in una conversazione.
Le sue origini le troviamo nei mulini collettivi che si usavano per ottenere la farina. A quei tempi le persone portavano i sacchi di cereali delle proprie coltivazioni che dopo dovevano essere macinati per ottenere farine di diversi tipi e qualità.
Per cui, una volta ottenuta la farina che veniva messa in sacchi con l’indicazione della tipologia, se qualcuno voleva mischiare due tipi diversi gli veniva avvertito di fare attenzione perché “era harina de otro costal”. “Costal” era il sacco, che veniva così chiamato perché si appoggiava sempre affianco di un altro sacco e in spagnolo il fianco viene chiamato “costado”.
Così tutt’ora quando qualcuno vuole inserire un argomento che non è rilevante nella conversazione gli si dice “eso es harina de otro costal”, o quando una persona è troppo diversa viene indicata come “harina de otro costal”.
QUIEN A HIERRO MATA, A HIERRO MUERE
Quest’espressione, che letteralmente significa “Chi di ferro colpisce, di ferro perisce” si usa per indicare che il modo in cui agiamo può influenzare il modo in cui gli altri agiscono nei nostri confronti. Per cui se si fanno delle azioni negative con molta probabilità prima o poi ne subiremo anche noi le conseguenze.
Le sue origini le troviamo nella Bibbia, nel Vangelo secondo Matteo. Si racconta che Gesù disse a uno degli uomini che lo accompagnavano di non usare la sua spada per ferire, perché chi usa la spada poi verrà colpito dalle spade degli altri.
Così quest’espressione divenne famosa e tutt’ora la possiamo trovare spesso nella letteratura spagnola e anche nel cinema. C’è addirittura un film che si chiama “QUIEN A HIERRO MATA”.
A REY MUERTO, REY PUESTO le parole sono importanti lourdes miranda
A REY MUERTO, REY PUESTO
Quest’espressione che letteralmente significa “morto un re, ne arriva un altro”, si usa per indicare che nessuno è indispensabile e che tanto in ambito lavorativo come in questioni di amore, quando qualcuno lascia il suo posto, poi viene occupato da un’altra persona.
Le sue origini le troviamo nel XVIII secolo. Durante l’attacco delle truppe dell’Arciduca Carlo al castello di Montjuic, il re Filippo V di Spagna disse ai suoi sudditi di non metterlo in salvo dall’attacco che stavano subendo, perché tanto morto un re ne sarebbe subentrato un altro. Era una questione di successione naturale.
Infatti inizialmente questa frase veniva usata per indicare la naturale successione di un re che dopo la morte lasciava il trono al prossimo nella dinastia. Ma col passare degli anni cominciò a essere usata per indicare che nessuno è imprescindibile e che può semplicemente essere sostituito con un’altra persona.
QUEDARSE A/EN LA LUNA DE VALENCIA
Mi è venuta in mente questa frase mentre, stamattina, pensavo a una persona della quale dico spesso “se ha quedado en la luna de Valencia”, letteralmente “è rimasta alla luna di Valencia”. Di solito quest’espressione indica una persona che è rimasta indietro nel fare un determinato compito oppure una persona distratta, sbadata.
Anche in questo caso ci sono diverse versioni sulle sue origini. La più diffusa è quella che racconta che nella città di Valencia si chiudevano le porte delle mura con il coprifuoco e quelli che erano rimasti indietro per distrazione dovevano dormire al chiaro di luna fuori dalle mura della città.
Altri invece dicono che si riferisca alle navi che non potevano approdare nel porto di Valencia per il mal tempo e dovevano rimanere sotto la luna diverse notti ad aspettare. E altri ancora all’espulsione dei mori dalla città che però sono dovuti rimanere al porto e dormire intere notti all’aperto in attesa delle navi che avrebbero dovuto riportarli in Algeria, Marocco e Tunisia.
Così, ancora oggi anche a scuola quando non si riesce a seguire il maestro si dice che “se está en la luna de Valencia”.
LEER LA CARTILLA
Quante volte le nostre mamme ci hanno “letto il libretto” da ragazzi! Si perché l’espressione “leer la cartilla”, che letteralmente significa “leggere il libretto” si usa per indicare quando qualcuno viene rimproverato per aver infranto qualche regola e istruito su cosa fare esattamente da quel momento in poi.
Comunemente si crede che le sue origini siano nei quaderni di scrittura dei bambini, dove le cose devono essere fatte bene, oppure si riferisca al libretto di risparmio, da dove i soldi vanno presi con criterio. Tuttavia la vera origine di questa frase la troviamo, ancora una volta, nell’ambito militare. Quando si entrava a far parte di un corpo militare si dovevano seguire delle norme di condotta stampate, che venivano rilette ad alta voce quando un soldato aveva, diciamo, un vuoto di memoria.
Alcune fonti indicano come creatore di queste regole al duca di Ahumada, fondatore della “Guardia Civil” spagnola, che nel 1844 decise di stabilire un regolamento per i militari che entravano in questo corpo. Mentre altre fanno notare che già nel XVII secolo si trovano citazioni di quest’espressione nella letteratura dell’epoca.
DEL DICHO AL HECHO HAY UN GRAN TRECHO
Devo confessare che uso spesso questa frase, e la usavo ancor di più nella mia adolescenza. Sarà perché, quando si è tanto giovani, si tende ad avere molto di più a che fare con i castelli in aria.
Comunque, letteralmente significa “Fra il dire e il fare c’è in mezzo una lunga strada” (mi ricorda già una frase in italiano).
Viene utilizzata per sottolineare che fra la teoria e il mettere in pratica quel che si pensa c’è una bella differenza e che non sempre le cose che si pensano riescono a realizzarsi con la stessa facilità con cui le abbiamo immaginate.
Si crede che questo modo di dire abbia le sue origini nell’espressione in latino “Loqui facile, praestari difficile” (Parlare è facile, fare è difficile) che si riferisce alle difficoltà di mettere in pratica le cose che nella teoria sembravano semplici.
Oltre a essere molto popolare oggi, veniva usata con frequenza già nel XVI secolo, e una delle sue apparizioni più famose la troviamo nel Volume II di Don Chisciotte della Mancia.
LAS CUENTAS DE LA LECHERA
Questa frase che letteralmente significa “i conti della lattaia” si usa per indicare quando qualcuno fa dei piani basandosi su cose che ancora non ha.
Per conoscere le sue origini viaggeremo fino alle favole di Esopo. Questo grande scrittore (sempre che sia esistito) ci racconta di una lattaia che camminando con una brocca di latte in testa pensava a tutte le cose che avrebbe fatto con quel latte. Dell’ottimo burro, da vendere al mercato per poi comprare delle uova, che avrebbe curato per avere dei pulcini. Poi avrebbe venduto i pulcini per comprarsi un bel vestito verde con il quale avrebbe attirato l’attenzione del figlio del molinaio. Ma quando questo l’avesse invitata a ballare, lei avrebbe detto di no, per non sembrare una ragazza di facili costumi. In quel momento, immedesimandosi troppo nei suoi pensieri fece il gesto della negazione con la testa e la brocca di latte cadde a terra, lasciandola senza latte, senza uova, senza pulcini, senza vestito e con tanti sogni in testa.
Così ogni volta che qualcuno si fa strane idee o fa piani basandosi su delle risorse che ancora non ha, si dice che “hace las cuentas de la lechera”.
DEJAR A ALGUIEN EN LA ESTACADA
Quest’espressione si usa quando si abbandona qualcuno in balia della propria sorte in un momento di difficoltà o in una situazione pericolosa.
“Estacada” era la recinzione fatta con pali di legno che circondava le aree dove i cavalieri, nel Medioevo, si dilettavano nel duellare. Chi perdeva in queste competizioni rimaneva sul campo di battaglia ferito.
Così, ancora oggi, quando si abbandona qualcuno alla propria sorte si dice che “se ha dejado en la estacada”. Quindi, come i cavalieri di una volta, è stato lasciato nella recinzione del campo di battaglia, ferito e senza aiuto.
ESTAR A DOS VELAS
Quest’espressione, che letteralmente significa rimanere a due candele, indica quando una persona rimane senza o con pochissime risorse economiche. E più di recente si usa anche per indicare la mancanza di rapporti sentimentali.
Ci sono diverse teorie sulle sue origini, vediamone alcune insieme. Si dice che l’espressione provenga dal momento in cui, dopo la messa, le chiese rimanevano illuminate solo da due candele nell’altare maggiore. Oppure che faccia riferimento alle candele che illuminavano chi faceva da banca nelle partite di carte clandestine. Quando un giocatore aveva fortuna e prendeva tutti i soldi, la banca rimaneva solo con le due candele utilizzate come illuminazione. Altri invece dicono che si riferisca ai funerali di persone meno abbienti che potevano permettersi solo due candele nella camera ardente. E, per ultimo, siccome in spagnolo il termine candela (vela) corrisponde al termine vela riferito alle barche, si dice che possa far riferimento a quelle barche più modeste che viaggiavano spinte solo da due vele.
Ma una cosa è chiara, se sei senza soldi, “estás a dos velas”.
LIARDA PARDA
Quest’espressione è molto usata in Spagna, soprattutto è molto di moda fra i giovani che si sa, spesso “la lian parda”.
In spagnolo “LIARLA” significa mettersi in una situazione difficile, imbarazzante o mettersi nei guai (è una delle accezioni di questo verbo che ne ha veramente tante), ma “LIARLA PARDA” è proprio mettersi in un guaio grosso o provocare un vero disastro, anche se si usa spesso per indicare quando i giovani creano le tipiche situazioni di schiamazzo e oltrepassano i limiti.
Le origini di quest’espressione non sono chiarissime. Si dice che di solito i cacciatori legavano le lepri che cacciavano con un filo marrone (pardo in spagnolo è marrone) ma non si capisce bene come da quest’espressione si sia arrivato all’uso che se ne fa oggi. Mentre altri fanno riferimento a un altro modo di dire “IRSE DE PICOS PARDOS”, di cui abbiamo già parlato, che si usa per indicare l’uscire la sera a bere e divertirsi, magari anche un po’ troppo.
Quindi quest’espressione si usa appunto per indicare quando creiamo scompiglio, ci divertiamo un pochino troppo con le rispettive conseguenze o creiamo una situazione un po’ fuori controllo.
A BUEN ENTENDEDOR, POCAS PALABRAS BASTAN
A BUEN ENTENDEDOR, POCAS PALABRAS BASTAN
Quest’espressione, che letteralmente significa “a buon intenditore bastano poche parole”, si utilizza per indicare che se qualcuno vuole capire e ha le capacità per farlo, capisce anche se utilizziamo poche parole. È una frase che a me piace particolarmente, credo nel potere della sintesi, e spesso bastano effettivamente poche parole per far arrivare il nostro messaggio senza fare tanti giri. Le sue origini le troviamo, da una parte, nell’espressione in latino “Intelligenti pauca” (a chi capisce (basta) poco) e dall’altra nell’antica Roma, quando il commediografo romano Tito Maccio Plauto disse in una delle sue massime “dictum sapienti sat est” ovvero “per il savio basta una parola”. C’è anche un’altra storia legata a quest’espressione. Si dice che il cardinale Mazarino, diplomatico e politico francese, concesse un’udienza a un mendicante dicendogli che però doveva esprimere in solo due parole i suoi problemi. Il mendicante comprese immediatamente e disse “fame, freddo”, al che il cardinale disse al suo segretario “cibo, vestiti”. Il cardinale poi, si riferì a questo incontro dicendo “a buon intenditore, poche parole”.
SALIR DE MÁLAGA PARA ENTRAR (O CAER) EN MALAGÓN
Quest’espressione, che letteralmente significa “Uscire da Malaga per entrare a Malagón”, si usa per indicare quando si esce da una situazione difficile per andare incontro a una ancora peggio.
Malaga e Malagón sono due città spagnole distanti 400 km una dall’altra, la prima è un grande centro urbano affacciato sulla costa e la seconda un paese un po’ più rurale dell’entroterra.
Ma come mai per indicare situazioni difficili si scelgono queste città? Bene, la teoria più diffusa è che si tratti di una semplice scelta lessicale perché “mala” in spagnolo significa cattiva e le parole che finiscono in “ón” sono superlativi. Da qui che si esca da MALAga per entrare a MalagÓN. Anche se c’è chi sostiene che tanti secoli fa Malaga fosse una città colpita da malattie e povertà, in cui era difficile vivere, mentre Malagón fosse famosa per la storia dei soldati di Fernando III che, nel 1236, si dovettero fermare nel paesino per il maltempo e avendo tanta fame cominciarono a rubare in giro. Ma questa versione non ha molto fondamento, è solo una supposizione storica di chi non si capacita del fatto che la scelta sia solo lessicale.
BAILAR CON LA MÁS FEA
Quest’espressione che letteralmente significa “BALLARE CON LA RAGAZZA PIÙ BRUTTA” si usa per indicare quando ci tocca affrontare le situazioni più difficili, o risolvere i problemi più complicati.
Le sue origini le troviamo in quell’antica usanza per la quale gli uomini dovevano invitare a ballare le ragazze nei balli di società. Così i primi invitavano le ragazze più belle e gli ultimi dovevano “accontentarsi” delle meno aggraziate.
E in questo modo la frase cominciò a usarsi anche fuori da quell’ambito, appunto per indicare che si ha avuto la peggio, e che dobbiamo affrontare i lavori più brutti, quelli che nessuno vuole sbrigare o che ci hanno cacciato nella situazione più complicata, quella di cui sono scappati gli altri.
RIZAR EL RIZO
L’espressione di oggi riflette un’abitudine che spesso abbiamo, ed è quell’arte di complicare le cose un po’ di più. Questa frase, letteralmente, significa “ARRICCIARE IL RICCIO”, quindi far diventare ancora più contorto qualcosa che già lo era di per sé.
Le sue origini le troviamo nell’aeronautica acrobatica. Spesso, quando guardiamo i giri a spirale che fanno i piloti, pensiamo di non poterci più sorprendere, che più complicato di così non sarà…e invece ecco che l’aereo gira di nuovo e di nuovo e fa girare anche la nostra testa con dei movimenti che credevamo impossibili. In Spagnolo, nel mondo dell’aeronautica, questo si chiama “rizar el rizo”.
Così quest’espressione è passata anche al linguaggio quotidiano per indicare una situazione che si complica ancora di più di quel che già era.
DORMIR LA MONA
Questa frase che letteralmente significa “addormentare la scimmia” si usa per definire quel momento in cui una persona dorme profondamente dopo essersi ubriacata.
Le sue origini le troviamo nel XVI secolo, in cui si usava anche in altre frasi il termine scimmia sempre rapportato all’ubriachezza, quindi si diceva che l’ubriaco malinconico era “una scimmia triste” oppure che l’ubriaco allegro era “una scimmia felice”. L’uso del termine “scimmia” per designare qualcuno ubriaco è dovuto al fatto che a quei tempi era diventata un’usanza molto diffusa far ubriacare le scimmie nelle feste per vedere l’effetto che l’alcol provocava in questi poveri animali costretti a bere. Si dice anche che questa pratica era molto comune anche nelle navi in cui trasportavano le scimmie dall’Africa a Europa e America.
Così, ancora oggi quando qualcuno si fa un bel sonnellino dopo una serata con un po’ troppo alcol, si dice che “está durmiendo la mona”.
SER COMO EL PERRO DEL HORTELANO, QUE NI COME NI DEJA COMER
Questa frase che letteralmente significa “essere come il cane dell’ortolano, che non mangia né lascia mangiare” si usa per riferirsi a quelle persone che non fanno una cosa ma non lasciano neanche che la facciano gli altri.
È una frase molto usata e presente anche nella letteratura e nel cinema spagnolo. Ha dato titolo alla famosa commedia teatrale di Lope de Vega “El perro del hortelano” del 1618 e anche a un film di Pilar Miró vincitore di 7 premi Goya (i premi David degli spagnoli, per intenderci). Le sue origini sono molto naturali, il cane che custodisce l’orto del suo padrone non mangia le sue verdure ma non le lascia mangiare neanche agli altri facendo sempre la guardia.
Nella commedia come nel film, ispirato proprio all’opera di Lope de Vega, una contessa distrugge il rapporto fra due amanti ingelosita perché innamorata di lui, ma poi decide di non sposarlo e dare ascolto ad altri pretendenti. Così tutt’oggi si usa questa frase anche quando gli innamorati sono un po’ indecisi e non sanno che strada prendere.
CANTAR LAS CUARENTA
L’espressione, che letteralmente significa “CANTARE I QUARANTA” si utilizza quando una persona sgrida o minaccia un’altra per qualcosa che ha fatto. Di solito la ragione è di chi sgrida, quindi l’altro non può fare altro che incassare. Il gioco di cui parliamo si chiama in Spagna “Tute” e vince il giocatore che accumula più punti. Le carte con più valore solo il Re e il Cavallo, che insieme sommano 40 punti. Quindi quando un giocatore le ha in mano è obbligato a comunicarlo agli altri, che vedono così minacciata la loro possibilità di vincere la partita. Quest’azione si conosce come “Cantar las cuarenta”, cioè cantare il tuo quaranta. Così con gli anni l’espressione è passata a formar parte del linguaggio collettivo per indicare che a qualcuno verrà fatta una strigliata!
CANTAR LAS CUARENTA
MUCHO RUIDO Y POCAS NUECES
Questa frase, che letteralmente significa “MOLTO RUMORE E POCHE NOCI”, si utilizza per indicare quando qualcuno o qualcosa è molto meno di quello che sembra o di quello che vuole far credere.
Anche se era una frase usata qualche secolo prima, divenne famosa nel XVI secolo come traduzione della commedia teatrale “Much ado about Nothing” del grande William Shakespeare. Per me, come traduttrice, è proprio curioso che già a quei tempi si evitassero le traduzioni letterali quando si poteva ricorrere a frasi che nella lingua di origine rendevano la stessa idea ma arrivavano meglio al pubblico. In questo caso, la traduzione letterale sarebbe stata “molto trambusto/confusione per nulla”, ma si scelse “mucho ruido y pocas nueces” che, anche se era già conosciuta, dopo questo titolo divenne veramente diffusa e il suo uso è arrivato ai giorni nostri.
Si dice che l’analogia fra le noci e il gran rumore proviene dai tempi in cui le noci venivano lanciate per terra per fare un rumore simile a quello dei petardi, e si usavano addirittura nei matrimoni per festeggiare gli sposi.
BUSCAR TRES PIES AL GATO
Questa frase, che letteralmente significa “CERCARE TRE PIEDI AL GATTO”, si usa per indicare quando si cerca di giustificare l’ingiustificabile o di trovare una spiegazione a qualcosa che non ce l’ha. E guardate un po’, ecco che ci troviamo di nuovo davanti al grande “Don Chisciotte”.
La frase originale utilizzava l’espressione “5 piedi al gatto”, finché Miguel de Cervantes decise di cambiare il numero di piedi nella sua grande opera “Don Chisciotte della Mancia”. Infatti, potremmo chiederci, come mai la scelta di “tre piedi”. Uno, perché tutti i gatti effettivamente tre zampe ce le hanno, e due perché si dovrebbe appunto usare il termine zampa e non piedi.
Non si sa bene perché Cervantes abbia deciso di cambiare il numero di piedi. Alcuni dicono che l’abbia fatto per rimarcare ancora una volta la follia del protagonista, altri invece dicono che l’abbia fatto per usare un gioco di parole. Nella metrica classica il piede era formato da un gruppo di due o più sillabe brevi e lunghe che costituivano la misura del verso. In questo senso la parola “gatto” ha solo due piedi metrici, quindi sarebbe impossibile trovare “tre piedi a gatto”.
Certo, sono tutte congetture, ma una cosa è chiara, ancora una volta i grandi della letteratura hanno la capacità di modificare il linguaggio.
BUSCAR TRES PIES AL GATO
A LA TERCERA VA LA VENCIDA
Questa frase, che significa che “LA TERZA VOLTA È QUELLA BUONA” ha una connotazione ottimista e si usa soprattutto quando si ha davanti un compito o un’azione importante che abbiamo tentato due volte, perché alla terza ci riuscirà.
In merito alle sue origini ci sono diverse versioni. Alcuni dicono (anche se gli esperti non trovano una fonte veritiera quest’ipotesi) che provenga dai campi di battaglia dei romani in cui disponevano i migliori soldati nella terza fila, così che riuscissero poi a dare il colpo finale.
Altri invece (e questa è l’ipotesi più condivisa) sostengono che provenga dall’ambito della giustizia. Si dice che nei secoli XVI e XVII, dopo il terzo furto si stabilisse la pena di morte. Quindi per il ladro, la terza volta era proprio l’ultima, anche se in questo caso la connotazione era tutt’altro che ottimista.
Mentre un’altra ipotesi vede le sue origini nelle lotte medievali dove il lottatore che metteva a tappeto il suo avversario per 3 volte vinceva.
TENER MÁS CUENTO QUE CALLEJA
Voglio anche io competere con Calleja, quindi eccoci qua…tornati con la rubrica del venerdì a raccontare le frasi fatte e le loro origini. Non vi è mancata?
Oggi racconteremo cosa c’è dietro all’espressione “Tener más cuento que Calleja” (Avere più racconti di Calleja) che si usa quando qualcuno ha una grande inventiva nel raccontare scuse o esagera il suo dolore o malessere per giustificare i suoi atti o assenze.
Le sue origini le troviamo nel proprietario della casa editrice Calleja, Saturnino Calleja, che dal 1879 cominciò a pubblicare racconti. I libri pubblicati erano molto semplici da leggere e pieni di racconti e immagini che attiravano il pubblico. Così le loro vendite sono cresciute molto velocemente e sono arrivati a vendere 3000 titoli diversi. Da qui il fatto che la gente cominciasse subito a usare l’espressione “tienes más cuento que Calleja” (hai più racconti di Calleja).
Tutt’oggi quando il nostro collega di ufficio si inventa un “mal d’unghie” insopportabile ci giriamo verso l’altro collega e diciamo “este tiene más cuento que Calleja”.
SALVARSE POR LOS PELOS
Quest’espressione, che letteralmente significa “essere salvato per i capelli” si usa per indicare quando una persona è riuscita a scamparla all’ultimo minuto e con difficoltà.
Le sue origini le troviamo nei marinai di alcuni secoli fa. In tempi antichi i marinai che si arruolavano nelle navi spesso non sapevano nuotare, così si lasciavano crescere i capelli, in modo tale che quelli che sapevano nuotare potessero tirarli su tenendoli per la lunga chioma.
Evidentemente a quei tempi non c’erano shampoo e balsamo, quindi il risultato erano dei signori abbastanza spettinati e anche un pochino sporchi. Questo particolare dava fastidio a Giuseppe Bonaparte che, nel 1809, dettò una legge in cui si obbligava ai marinai a tagliarsi i capelli. In seguito, ricevette delle lettere da parte dei marinai in cui spiegavano il perché della loro chioma scompigliata, e così ritirò la legge e questo modo di dire passò a far parte del parlato popolare.
ZAPATERO, A TUS ZAPATOS
Questa frase, che letteralmente significa “CALZOLAIO, ALLE TUE SCARPE” e che oggi dovremo dire in continuazione sui social, si utilizza per indicare a una persona che dovrebbe opinare di quello che sa veramente, ed evitare di esprimere criteri senza fondamento, oppure intervenire nei problemi altrui senza essere interpellato.
Le sue origini le troviamo nell’Antica Grecia, nel IV secolo a.C. Si dice che il pittore Apelle, dopo aver ricevuto alcune critiche alla sua opera da parte di un calzolaio, consigliò a quest’ultimo di occuparsi delle sue scarpe, dato che di pittura conosceva ben poco. Questo passaggio compare nelle opere di Plinio il Vecchio, al quale dobbiamo molta della conoscenza che oggi abbiamo su questo artista.
Così l’espressione divenne comune fra le persone e tutt’oggi si usa per dire a qualcuno, in parole povere, di farsi gli affari propri.
ÉRAMOS POCOS Y PARIÓ LA ABUELA
Quest’espressione molto comune nella lingua spagnola, che significa letteralmente “ERAVAMO POCHI E PARTORÌ LA NONNA”, si utilizza per descrivere una situazione già problematica a cui si aggiungono altri problemi, oppure l’arrivo di qualcuno inatteso e non proprio gradito in quella circostanza.
Le sue origini non sono del tutto certe, ma si dice che potrebbe trovarsi nella corte del Re Alfonso VIII di Castiglia. Alfonso VIII e sua consorte Eleonora Plantageneta ebbero almeno 10 figli (parliamo del XII e XIII secolo, quindi non c’erano registri elettronici, foto, dirette su YouTube né Instagram, per cui alcuni dati non sono proprio precisi), l’ultimo dei quali nacque lo stesso anno in cui la loro primogenita tornava a corte con i suoi 5 figli. Quindi i nipoti della regina hanno dovuto costatare che avevano uno zio più giovane di loro, che si aggiungeva alla famiglia allargata.
Ripeto, non si sa bene se sia una storia vera, anche perché nessuno riesce a immaginare i principi e le principesse sbuffando per i corridoi e dicendo “éramos pocos y parió la abuela”. Quello che è certo invece è che questo detto è molto ironico, sarcastico e si usa spesso anche in ambienti famigliari. In alcuni casi si cambia la nonna con qualche altro nome o figura, in base alla regione, paese o cultura.
COMO AGUA DE MAYO
Quest’espressione, che letteralmente significa “come acqua di maggio” si utilizza per indicare quando qualcosa arriva nel momento giusto oppure succede quando si attendeva con ansia e ci porta dei benefici.
Le sue origini le troviamo nelle campagne spagnole, nelle quali il grano che si è piantato nei mesi autunnali attende le piogge primaverili per germogliare e regalare ai contadini un ottimo raccolto. Anche i frutteti sperano nell’acqua di maggio per poter fiorire e offrire degli ottimi frutti d’estate.
Così questa frase cominciò a usarsi nella vita quotidiana quando si attendeva un evento positivo che regalasse buone opportunità o quando capitava un qualcosa di sorprendentemente positivo. Tutt’oggi diciamo spesso “llegó como agua de mayo” oppure “lo espero como agua de mayo”.
NO SABER DE LA MISA LA MEDIA (O LA MITAD)
Le origini di questa frase, che letteralmente significa NON SAPERE DELLA MESSA NEANCHE LA METÀ, le troviamo nel XVI secolo e si riferisce al fatto che la persona che parla non ha abbastanza conoscenza in materia.
In quei anni c’era scarsità di sacerdoti e, d’altra parte, tantissime parrocchie piccoline nei paesini più sperduti. Così, a quei paesini inviavano anche i diaconi non proprio preparatissimi, i quali imparavano a memoria le messe, che dovevano essere dette in latino. Se però qualcuno li interrompeva, o perdevano il filo per qualche motivo, rimanevano bloccati e non sapevano come continuare. Per questo, la gente cominciò a dire che “non sapevano dire neanche la messa per intero”.
L’espressione è arrivata così ai giorni d’oggi e si usa ancora per indicare la mancanza di conoscenza di certe persone sull’argomento che si sta trattando e anche nel mondo professionale quando non si hanno le competenze sufficienti a svolgere bene un lavoro.
ESTO ES JAUJA
ESTO ES JAUJA
Quest’espressione, che letteralmente significa “questo è Jauja”, si utilizza quando stiamo vivendo una situazione estremamente confortevole o quando si ottengono dei benefici senza tanti sforzi.
Le sue origini le troviamo in una città del Perù, appunto chiamata Jauja, fondata da Pizarro e molto apprezzata dai conquistatori, nonché prima capitale del paese. La zona in cui si trovava offriva un clima mite, terre fertili e molta pace. Così nell’immaginario collettivo Jauja divenne una specie di paradiso, ricco e pacifico nel quale tutti sognavano di vivere.
Quest’immagine è arrivata ai giorni nostri e ancora oggi sentiamo dire “esto es Jauja” per riferirsi ai benefici senza tanti sforzi oppure, in modo ironico “esto no es Jauja” per dire che bisogna sforzarsi e lavorare per ottenere qualcosa.
ACABAR COMO EL ROSARIO DE LA AURORA
Quest’espressione, la cui traduzione letterale sarebbe “finire come il rosario dell’aurora” si utilizza per dire che si ha la sensazione che una situazione finirà male oppure quando si sa che è finita proprio male.
La prima cosa che dobbiamo “chiarire” è che non si tratta di un nome da donna ma dell’alba, e cioè la frase è riferita a un rosario che si diceva per strada all’alba, verso le 5 del mattino. Ma sul come finì, nello specifico, quel rosario, ci sono diverse versioni. Eh sì! Questa è una di quelle frasi fatte molto usate e anche molto poco chiare in quanto alle origini.
Alcuni dicono che certe confraternite recitavano il rosario per strada verso le 5, quando c’erano in giro anche altre “confraternite” di giovanotti ubriachi che poi innescavano liti abbastanza pensanti con chi diceva il rosario a quell’ora. Altri invece sostengono che si trattasse di una confraternita chiamata proprio “Rosario de la Aurora” e che ritrovandosi faccia a faccia con certi malviventi di qualche città dell’Andalusia finì a scontrarsi con loro a pugni e calci.
Altri sostengono che si trattasse di due confraternite che si incontrarono su una stradina strettissima una di fronte all’altra a litigare su chi doveva fare largo a chi, e così si passò anche in questo caso dalle preghiere ai pugni.
Una cosa però la sappiamo o almeno la immaginiamo, ed è che bene bene non finì ‘sto rosario.
POR SAN BLAS LA CIGÜEÑA VERÁS
Forse non ci pensiamo, ma il cambiamento climatico in qualche modo ha degli effetti anche sul linguaggio, e questa frase fatta è una di quelle che magari, se continuiamo a questo ritmo, a breve non avranno più senso.
La frase in sé dice “Per San Blas la cicogna vedrai” e si riferisce alla festa cattolica celebrata il 3 febbraio, appunto di San Blas. In quel periodo di solito ritornano in Spagna le cicogne, uccelli migratori che, nei mesi d’inverno, volano verso l’Africa per poi tornare nel nostro continente nei mesi più caldi.
Il suo significato è semplicemente che il ritorno di questi uccelli segna l’inizio della fine dell’inverno più freddo. Ci sono poi alcune varianti, come “Por san Blas verás la cigüeña volar y, si no la vieres, año de nieves” che appunto spiegano che se non le vedi tornare il freddo ancora ti darà da fare.
E fin qui tutto bene, se non fosse che negli ultimi anni questi uccelli hanno cominciato a non fare più il loro viaggio verso l’Africa perché le temperature sono salite e riescono a trovare cibo facilmente anche in Europa. Così, con il tempo si usa sempre di meno questo modo di dire, che perde un po’ il suo senso nel momento in cui gli uccelli non migrano.
UNA GOLONDRINA NO HACE VERANO
Ma qui l’estate è proprio arrivata, e così è arrivata anche l’ora di prenderci la nostra solita pausa estiva.
Ho scelto questo proverbio “Una rondine non fa estate”, nel quale noterete che rispetto alla versione italiana cambia la stagione, per salutarvi. Primo, perché l’estate è proprio qui e anche da un bel pezzo, due perché le rondini sono i miei animali preferiti al mondo.
Questa frase viene usata per indicare che spesso un fatto isolato non significa che poi si crei una regola o che diventi la norma e che bisogna sempre aspettare prima di trarre conclusioni frettolose dopo aver visto un singolo indizio.
Le rondini sono uccelli migratori che, a ottobre, nidificano nell’emisfero settentrionale, per poi spostarsi nell’emisfero meridionale per svernare nei periodi caldi. Ma può succedere che ci siano delle rondini anticipatrici, che arrivano prima delle altre. Quindi non possiamo dedurre che la bella stagione sia arrivata solo perché abbiamo visto arrivare la prima rondine.
Succede così anche nella nostra vita quotidiana. Prima di prendere decisioni avventate, prima di fare congetture, dobbiamo analizzare bene quello che abbiamo davanti e capire se siamo davanti a una regola o un’eccezione.
TIRAR LA CASA POR LA VENTANA
Quest’espressione, che letteralmente significa “BUTTARE LA CASA DALLA FINESTRA” si utilizza per indicare quando qualcuno ha avuto una spesa eccessiva, un po’ inutile o al di sopra delle sue possibilità.
Le sue origini le troviamo a metà del XVIII secolo e sono strettamente legate alle estrazioni della lotteria. In quel periodo chi vinceva un premio alla lotteria non voleva fare lunghi viaggi o comprare una nuova casa, parliamo di diversi secoli fa! Invece, con quei soldi potevano fare delle ristrutturazioni o cambiare i mobili. Così, le famiglie, appena saputo che avevano vinto, buttavano i mobili dalle finestre per poi prenderne altri nuovi.
Col tempo, diventò una consuetudine buttare i mobili dalla finestra se vincevi un premio, anche se non ne avevi bisogno, e questo gesto cominciò a essere sinonimo di spreco o spesa non proprio necessaria.
Adesso nessuno butta più i mobili dalla finestra. Immagini qualcuno in pieno centro di Madrid che lancia un divano in testa a un turista? Però se fa la festa più sfarzosa del quartiere si continua a dire che “ha tirado la casa por la ventana”.
PARA GUSTOS, LOS COLORES
Ho utilizzato questa frase ieri, mentre facevo la localizzazione di un testo veramente carino in cui c’era una frase fatta in italiano che ho localizzato con “para gustos, los colores y para escoger, las flores”.
La frase in spagnolo deriva dall’espressione latina “De gustibus non est disputandum” che sottolinea l’inutilità di litigare perché si hanno gusti diversi. Infatti si usa spesso per indicare che non tutti abbiamo gli stessi gusti e che nessuno dovrebbe imporre i propri agli altri.
A me piace moltissimo come frase, mi ricorda la tolleranza, l’empatia e il fatto che, effettivamente, siamo tutti molto diversi e dobbiamo imparare ad accettare i pensieri altrui anche se non sono proprio uguali ai nostri.
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A MEDIAS TINTAS

L’espressione completa sarebbe “decir algo a medias tintas” o “hacer algo a medias tintas” che letteralmente indica “dire qualcosa a mezze tinte”, “fare qualcosa a mezze tinte”. Si utilizza quando si dice o fa qualcosa in modo vago, superficiale o ambiguo.
Secondo alcuni, le origini di questo detto risalgono all’epoca in cui si scriveva con penna e calamaio, e i commercianti d’inchiostro lo vendevano diluito con acqua o gli scrivani lo allungavano per risparmiare. Il problema di questa pratica era che con il passar del tempo le lettere o documenti scritti con questi inchiostri di bassa qualità tendevano a sparire. Così si riusciva a leggere a malapena la metà di quello che c’era scritto.
Altre fonti dicono che provenga della tecnica d’incisione conosciuta come mezzatinta e utilizzata per ottenere i chiaroscuri e le sfumature.
Spesso succede così con le frasi fatte, le loro origini nell’immaginario collettivo sono diverse, di alcune perdiamo addirittura le tracce, ma si sa, formano comunque parte della nostra quotidianità, come amiche che ci vengono incontro quando vogliamo dire la cosa giusta al momento giusto.
MONTAR UN POLLO

Quest’espressione, che a prima vista sembrerebbe parlare di un pollo, non ha niente a che fare con polli o altri animali.

Infatti pollo sostituisce la parola originale della frase (poyo, e cioè podio) anche se la RAE ormai raccoglie la frase con la grafia del titolo, e cioè “montar un pollo”. Ma torniamo al suo significato. Il suo vero senso è indicare quando si crea una discussione per qualcosa, o ci si caccia in qualche guaio.
Le sue origini le troviamo nel XIX secolo quando diventarono popolari quegli oratori che andavano nelle piazze con un podio portatile e cominciavo a fare dei discorsi, soprattutto politici, in cui criticavano gli avversari. In questo modo si creavano sempre delle discussioni abbastanza accese con il pubblico. Così, questi “scambi di pensiero” tutt’altro che calmi diedero origine all’espressione “montar un pollo (poyo)” per indicare quando si crea una discussione oppure quando qualcuno ti sgrida o fa una scenata per qualcosa.
COSTAR UN OJO DE LA CARA
 
Quest’espressione che letteralmente significa “costare un occhio della testa” (immagino che l’avrete sentito dire anche in italiano) si usa per indicare quando qualcosa è costato troppo o ha un prezzo troppo alto per noi.
Le sue origini le troviamo nel XVI secolo, quando il conquistatore Don Diego de Almagro, tornato da una delle sue traversie nelle Indie Occidentali, si lamentò del fatto che aveva perso un occhio in una delle battaglie. Sfortunatamente, in un assedio a una fortezza Inca una freccia lo colpì nell’occhio. Così, di ritorno disse al re che difendere gli affari della corona gli era costato un occhio della testa.
Probabilmente si è lamentato talmente tanto di questa vicenda che la frase divenne popolare a tal punto da valicare i confini della Spagna e arrivare anche ai giorni d’oggi.
PELAR LA PAVA

Quest’espressione riesce sempre a strapparmi un sorriso. Anche adesso, quando scrivo per parlare delle sue origini lo faccio sorridendo.
La traduzione letterale sarebbe “spennare la tacchina”. Oggigiorno si usa per indicare quando i giovani stanno insieme a fare niente, ma fino a poco fa si utilizzava per indicare quando il ragazzo veniva a casa a corteggiare la ragazza e parlavano a lungo, magari sull’uscio della porta o attraverso una finestra.
Si pensa che le sue origini risalgono all’Andalusia di fine del XIX secolo. Una signora ordinò a una fanciulla di spennare una tacchina. La ragazza si sedette sul davanzale della finestra e in quel momento arrivò il suo pretendente e si mise a parlare con lei. La signora, nel vedere che non tornava, chiese cosa stesse facendo, così, la fanciulla rispose: “estoy pelando la pava”.
Ovviamente, dato che sono anche cambiati con il tempo i modi di corteggiare, il significato dell’espressione un po’ si è modificato, ma ricorda sempre il fatto di passare del tempo con qualcuno solo a chiacchierare o a fare nulla, soprattutto per i giovani.
NO ESTÁ EL HORNO PARA BOLLOS

Devo confessare che questa frase la uso spesso a casa 😊.
La sua traduzione letterale sarebbe “il forno non è pronto per i panini” e si usa per indicare quando non è il momento adatto per chiedere qualcosa o quando la situazione è un po’ tesa ed è meglio non intervenire.
I “bollos” a cui si fa riferimento sono dei panini dolci che dovevano essere infornati a una temperatura specifica e venivano preparati solo per occasioni speciali. Così questi panini non potevano essere infornati in qualunque momento perché c’era il rischio di non ottenere il risultato che si aspettava.
Ecco perché quest’espressione si è legata al fatto di fare domande o richieste in un momento non proprio opportuno.
È anche una frase tipica che le mamme dicono ai figli quando fanno richieste nel momento sbagliato.
PS. In alcuni paesi dell’America Latina la parola “bollo” può anche avere altri significati non proprio eleganti, quindi si sostituisce la parola “bollo” con “panecillos”.
ARRIMAR EL HOMBRO

Quest’espressione, che letteralmente significa “accostare la spalla” si usa per indicare quando qualcuno offre il suo aiuto o collaborazione ad altra o altre persone per ottenere un fine comune.
Le sue origini le troviamo nel mondo rurale. I contadini che lavoravano i campi spesso camminavano insieme per i filari e così le loro spalle, a tratti, si toccavano durante la semina o il raccolto.
Da questo modo di lavorare nasce quest’espressione, e anche altre come “trabajar codo con codo”(lavorare fianco a fianco) che poi si estendono ad altri ambiti e vengono usate per indicare lo spirito collaborativo all’ora di raggiungere un obbiettivo.
NO DAR UN PALO AL AGUA

Quest’espressione che letteralmente significa “non dare neanche un colpo sull’acqua col bastone” si usa per indicare quando una persona è pigra, non ha voglia di fare nulla o non apporta niente alla giornata lavorativa.

Le sue origini le troviamo nel mondo dei marinai e ci sono due versioni in merito. La prima dice che proviene dai tempi in cui le barche si muovevano grazie al lavoro con i remi che veniva fatto dai marinai, che erano degli schiavi o prigionieri costretti a remare nelle grandi imbarcazioni. Spesso questi uomini si stancavano (il che, se ci pensiamo, è del tutto comprensibile) e muovevano i remi in modo tale che non colpivano l’acqua, e quindi facevano un lavoro inutile. Altri invece dicono che si tratta di qualcosa di più recente, cioè delle gare in barca in cui quando uno dei membri di una squadra smette di remare rischia di rovinare il risultato perché rende inutile il lavoro dei compagni.

E così, tutt’oggi quando ci troviamo davanti a qualcuno che non vuole lavorare, è pigro o fa qualcosa di completamente inutile diciamo che “no da un palo al agua”.
NO DAR UN PALO AL AGUA

Quest’espressione che letteralmente significa “non dare neanche un colpo sull’acqua col bastone” si usa per indicare quando una persona è pigra, non ha voglia di fare nulla o non apporta niente alla giornata lavorativa.

Le sue origini le troviamo nel mondo dei marinai e ci sono due versioni in merito. La prima dice che proviene dai tempi in cui le barche si muovevano grazie al lavoro con i remi che veniva fatto dai marinai, che erano degli schiavi o prigionieri costretti a remare nelle grandi imbarcazioni. Spesso questi uomini si stancavano (il che, se ci pensiamo, è del tutto comprensibile) e muovevano i remi in modo tale che non colpivano l’acqua, e quindi facevano un lavoro inutile. Altri invece dicono che si tratta di qualcosa di più recente, cioè delle gare in barca in cui quando uno dei membri di una squadra smette di remare rischia di rovinare il risultato perché rende inutile il lavoro dei compagni.

E così, tutt’oggi quando ci troviamo davanti a qualcuno che non vuole lavorare, è pigro o fa qualcosa di completamente inutile diciamo che “no da un palo al agua”.

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